Ministero dei Beni delle Attivitą Culturali e del Turismo Direzione Generale Biblioteche e Istituti Culturali

Emmanuele Maria Bianchi La risicoltura italiana tra le due guerre: biennio rosso e squadrismo, crisi di mercato e fondazione dell’Ente Nazionale Risi

Salone Teresiano

30 novembre 2017 - Conferenza

Emmanuele Maria Bianchi

La risicoltura italiana tra le due guerre: biennio rosso e squadrismo, crisi di mercato e fondazione dell’Ente Nazionale Risi

Giovedì 30 novembre 2017, ore 17.00, Emmanuele Bianchi terrà una conferenza dal titolo La risicoltura italiana tra le due guerre: biennio rosso e squadrismo, crisi di mercato e fondazione dell’Ente Nazionale Risi. Intervengono Giuseppe Cavagna di Gualdana, Presidente di Confagricoltura Pavia, e Cesare Repossi, Presidente della Società Pavese di Storia Patria. L’intervento prosegue quello tenuto in Biblioteca nel 2015, in contemporanea con EXPO, su La risicoltura italiana dall’Unità alla Grande guerra: crisi agraria, questione bracciantile, innovazioni tecnologiche e colturali, ad apertura di un ciclo d’incontri che ha accompagnato la Mostra Le carte dei cibi. Territorio, prodotti, pranzi di una città agricola e universitaria, organizzata dalla Biblioteca Universitaria e dall’Università di Pavia. Nei primi del ‘900, la risicoltura nazionale è insediata quasi esclusivamente nella Padania irrigua: Piemonte e Lombardia fanno la parte del leone, mentre Emilia e Veneto hanno un ruolo sempre più marginale e altre regioni contribuiscono con percentuali minime. Durante il primo conflitto mondiale – data la scarsità di braccia disponibili – la superficie subisce un’inevitabile contrazione, approssimativamente da 144.000 ettari a circa 138.000. Nei distretti risicoli di Vercelli, Mortara, Novara e Pavia, soprattutto ai tempi della monda e del raccolto, si concentrano grandi masse di lavoratori che includono manodopera migrante, originaria di zone agricole depresse; tale situazione è fonte di conflitti con la forza lavoro locale che, dai primi del ‘900, rivendica l’orario di otto ore in risaia, accusando i migranti – più disposti ad accettare paghe modeste e orari gravosi – di “rubare” loro il lavoro. Se in queste aree la situazione è particolarmente calda, il malcontento serpeggia, fra le classi più umili, in tutto il Paese. Le elezioni politiche del 1919, infatti, vedono il Partito socialista ottenere il 32% e il Partito popolare, d’ispirazione cattolica, il 21%: entrambi avversi agli agrari, miravano rispettivamente alla socializzazione delle terre e alla formazione della piccola proprietà contadina. Le province più rosse d’Italia erano: Ferrara, Rovigo e Pavia, come rosse erano le zone risicole classiche e l’Emilia. Nel ’19, i lavoratori agricoli, ottengono in Lomellina l’estensione dell’orario di otto ore, già praticato dai braccianti, anche ai salariati e poco dopo – a fronte della crescente disoccupazione – l’obbligo per gli agricoltori di assumere una quantità fissa di dipendenti in base alla superficie: il cosiddetto imponibile di manodopera, di lì a un anno applicato quasi ovunque nella pianura padana. Nella primavera del ’20, nei distretti risicoli sopraccitati, scioperano anche i mungitori e guardie rosse armate impediscono a chiunque di lavorare; le forze dell’ordine non sono sufficienti a riportare l’ordine e gli agricoltori (in massima parte affittuari), per non perdere il bestiame, concedono un imponibile più favorevole.

Documenti da scaricare